Frequenti le manifestazioni gastrointestinali nei pazienti COVID-19

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Pochi mesi fa, nel Dicembre 2019, giungevano nel nostro Paese le prime notizie di una nuova epidemia scoppiata a Wuhan, in Cina. Alcune settimane più tardi avremmo saputo che il responsabile fosse un nuovo Coronavirus rinominato SARS-CoV-2 in grado di causare la sindrome COVID-19. Ad oggi affrontiamo la peggiore pandemia di cui possiamo aver memoria.

La febbre è uno dei campanelli d’allarme del COVID-19

Come ben sappiamo, i malati con COVID-19 presentano prevalentemente problematiche di tipo respiratorio. La febbre sembra essere il sintomo tipico all’esordio, mentre tosse e dispnea subentrerebbero in una seconda fase della malattia. Questa, però, non è una regola fissa e può non esser sempre valida.

Diarrea, nausea e anoressia sono tutt’altro che rari nei pazienti con COVID-19

Un dato nuovo è la presenza di sintomi meno comuni ma ugualmente importanti. Diarrea, nausea e anoressia assieme a discomfort addominale sono stati rilevati in una buona percentuale di pazienti già all’ingresso in ospedale. La diarrea nello specifico, invece, è un sintomo che tende a peggiorare durante l’ospedalizzazione anche in ragione delle molteplici terapie farmacologiche adottate.

I sintomi gastrointestinali sono oggi un focus dei ricercatori, nonostante all’esordio fossero stati sottostimati. La ragione la si trova nell’affinità di questo Coronavirus per il recettore ACE-2, largamente espresso sia lungo le vie respiratorie che nel tratto gastrointestinale. Nello specifico, ACE-2 si concentra prevalentemente nel piccolo intestino e a livello delle vie biliari, spiegando così anche parte delle manifestazioni epatiche.

ACE-2 è particolarmente concentrato nelle vie aeree e nel tratto gastrointestinale

L’interesse dei ricercatori per ACE-2 e per le manifestazioni gastrointestinale trova spiegazione in studi precedentemente condotti. Alcune ricerche, infatti, hanno evidenziato che mutazioni di ACE-2 siano collegate ad una ridotta espressione di molecole antimicrobiche e di un’alterata microflora intestinale. Inoltre, è noto il cross-talk tra intestino e polmone: i pazienti con infezioni polmonari, infatti, possono sviluppare disturbi intestinali.

Se le interazioni fra la microflora intestinale e quella delle vie respiratorie è attualmente oggetto di approfondimenti, chiari sono gli effetti negativi di alcuni farmaci sul microbiota intestinale. Gli antibiotici in particolare alterano l’insieme dei microorganismi che abitano l’intestino e inducono l’insorgenza di disturbi gastrointestinali. La diarrea post-terapia antibiotica è esemplificativa in questo senso.

Ripristinare la microflora intestinale è una strategia terapeutica consigliata

Data l’enorme importanza di trovare nuove strategie terapeutiche, proprio dalla Cina apprendiamo il suggerimento che sia necessario concentrarsi anche sulla ricostituzione della flora intestinale. La China’s National Health Commission e National Administration of Traditional Chinese Medicine consiglia di somministrare i probiotici nei pazienti gravi affetti da COVID-19. Ciò ridurrebbe non solo le complicanze dei trattamenti farmacologici, ma anche la sovrapposizione di infezioni batteriche secondarie.

Il L. rhamnosus GG ripristina la microflora intestinale

Ad oggi non si hanno linee guida dirimenti sulla somministrazione dei malati con COVID-19, ma conosciamo l’efficacia di alcuni ceppi probiotici. Il L. rhamnosus GG si è dimostrato un ottimo presidio nella prevenzione e nel trattamento della diarrea da terapia antibiotica. Se assunto regolarmente, ripristina lo stato di salute della microflora intestinale riducendo le manifestazioni gastrointestinali secondarie all’assunzione di antibiotici.

Fonte. 2019 Novel coronavirus infection and gastrointestinal tract. Journal of Digestive Diseases. DOI: 10.1111/1751-2980.12851

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